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La pergamena, in latino membrana o vellum, prende nome dalla città di Pergamo, nell’Asia minore, dove, secondo la tradizione riferita da Plinio il Vecchio, sarebbe stata introdotta attorno al II secolo a.C., in sostituzione del papiro. Pergamo allora era sede di una biblioteca in grado di rivaleggiare con quella di Alessandria d’Egitto.
Si tratta di pelle di agnello – ma anche di pecora, capra o vitello – lavorata con una tecnica particolare che la rende sottile rigida e resistente.
Dopo un accurato lavaggio e dopo essere stata liberata dal pelo, la pelle viene resa morbida mediante immersione in una soluzione di acqua e calce, quindi scarnata e sbiancata con ammoniaca. Infine viene fatta essiccare tesa su un telaio. Nel caso di pelli di agnello, queste vengono rifinite nella parte interna, detta carne, tramite la scarnitura e nella parte esterna, detta fiore, con la raschiatura, eseguite con appositi strumenti. Il prodotto così ottenuto presenta la rigidità e la consistenza della carta grazie all’allineamento delle fibre di collagene in strati dovuto al processo di essiccatura sotto tensione. Dal largo utilizzo della pelle di pecora deriva l’altro nome con cui è nota: cartapecora. Fu utilizzata fin dall’antichità perché, a differenza del papiro, poteva essere scritta facilmente su entrambi i lati, caratteristica che si rese importante quando il formato del libro passò dal rotolo al codice, nel I secolo d. C., piegando la pergamena in quaterni. Nel mondo antico non ebbe grande diffusione poiché il papiro era meno costoso. Tuttavia, il più antico frammento scritto arrivato a noi risale alla XX dinastia egizia, intorno al 1186-1070 a.C., mentre il più antico documento greco pervenutoci è del 195 a.C. ed è stato rinvenuto a Dura-Europos. I primi frammenti noti di opere letterarie sono del II-III secolo d.C. In campo librario la cartapecora sostituì il papiro fra il III e il VI secolo mentre in campo documentario si affermò definitivamente intorno all’VIII secolo. Fino al Duecento, in Europa fu l’unica materia scrittoria ma in seguito fu lentamente sostituita dalla carta.
A seconda delle epoche e delle regioni, era prodotta in molteplici qualità e colorazioni. Nei codici tardo-antichi si presenta è sottile e ben lavorata, come lo sarà in alcuni grandi centri scrittori del Duecento e in manoscritti italiani del Quattrocento. Nell’Alto Medioevo, invece, la qualità subì un notevole peggioramento. La pergamena utilizzata negli scriptoria dei monasteri irlandesi, inglesi e delle loro fondazioni nel continente – come Fulda e Bobbio – aveva una colorazione grigiastra e una consistenza rigida dovute all’utilizzazione di pelli bovine. L’uso di pergamene bovine a Bobbio fu però limitato ai secoli VIII-IX. Dal IV al VI secolo si diffuse l’usanza di colorare la pergamena, ripresa poi in epoca carolingia e umanistica. Furono prodotte pergamene purpuree utilizzate per la scrittura di libri o documenti particolarmente solenni redatti con inchiostri d’argento o d’oro. Un esempio è il Codex Purpureus Rossanensis, conservato nel Museo Diocesano di Rossano, databile al VI secolo.
Nell’alto Medioevo, per scarsità di materia prima, si diffuse la consuetudine di riutilizzare antichi libri manoscritti danneggiati i cui testi venivano raschiati per essere riscritti. I libri così prodotti sono detti palinsesti – dal greco πάλιν ψηστός, pàlin psestòs, raschiato di nuovo – oppure, in latino, codices rescripti. L’impiego della pergamena continuò anche dopo l’invenzione della stampa. Nel Quattrocento e agli inizi del Cinquecento era diffusa l’abitudine di stampare e miniare libri in questo materiale per imitare i manoscritti soprattutto nei casi di opere liturgiche e di devozione come i Libri d’ore. Membranacei erano anche gli statuti, raccolte di norme emanate dai vari governi cittadini. Le pergamene destinate alla legatoria –uso che si diffuse dal XVI secolo in poi – erano spesse e scure, quelle utilizzate per la scrittura di testi erano generalmente più chiare e sottili. Per documenti di particolare rilevanza erano utilizzate, invece, pergamene molto bianche e sottili ricavate dal trattamento di pelli di animali giovanissimi o nati morti.
Nel XVI e XVII secolo era largamente in uso nella legatoria la pergamena suina particolarmente adatta alle legature di volumi di grande dimensione. Fuori del mondo greco-latino, la cartapecora fu largamente adoperata in tutta l’area del Vicino e Medio Oriente, in Persia, Siria e Armenia. Gli Arabi la utilizzarono a partire dal V secolo d.C. e continuarono in seguito ad adoperarla – sia in campo librario, sia in campo documentario – in concorrenza con il papiro e la carta. In Etiopia fu la principale materia scrittoria per i codici religiosi fino all’Ottocento. In America, alcuni manoscritti Maya sono su fogli di pelle di daino. Anche in Europa, quasi tutti i documenti emessi da sovrani, imperatori e papi continuarono ad essere scritti su questo supporto ben oltre la fine del XIX secolo. E, anche se più raramente, la pergamena fu utilizzata anche per la tipografia fino alla fine del XIX secolo.